martedì 20 maggio 2014

INTERVISTA A CLAUDIA MARINELLI – UNA SCENEGGIATRICE DI FANTASCIENZA

Sembra provenire da un altro mondo la sceneggiatura Chasing White Infinity. E non solo perché il copione è ambientato in un futuro non troppo lontano. L’autrice del testo si è formata in effetti sotto la guida di due docenti d’eccezione, Bauer e DeSmet, e si è accostata al mondo del cinema con uno stile internazionale.
La Marinelli, blogger, drammaturga, scrittrice di romanzi e sceneggiatrice di diversi corti (tra cui il fortunato Un amato funerale), si sta confrontando col mercato americano e sta cercando di vendere il suo spec script di ski-fi grazie alle tante opportunità che ora offre il web.

Abbiamo incontrato la sceneggiatrice Claudia Marinelli e le abbiamo posto alcune domande[1].

Hai frequentato un “Intensive Screenwriting Workshop” a Spoleto con Irv Bauer e poi, presso l’università del Wisconsin, il corso tenuto da Christine DeSmet “Write Your First Draft Fast”. Quali sono stati i principali insegnamenti di questi due laboratori internazionali e che tipo di approccio hanno avuto i tuoi due insegnanti, Bauer e la DeSmet, al processo della scrittura?

Quando ho deciso di frequentare un corso di sceneggiatura per il cinema ho fatto approfondite ricerche in rete e sono approdata al sito di Irv Bauer. Volevo, come primo approccio, un corso intensivo in inglese e la possibilità di un contatto diretto con i professori. Il corso di Irv offriva proprio ciò che desideravo nella splendida cornice di Spoleto. Nell’agosto 2011 al corso “Intensive Screenwriting in Spoleto” si iscrissero sei “alunne” inclusa la sottoscritta: tutte donne non lontane di età ma provenienti da esperienze di vita totalmente diverse. Il corso era finalizzato alla stesura di un cortometraggio della lunghezza massima di venti minuti. Irv ci ha guidato passo passo partendo dal personaggio. Il primo compito era appunto inventarsi un personaggio nuovo al quale non avevamo mai lavorato prima, non una storia. Sotto la guida del professore, lavorando sodo, tutte e sei le alunne hanno trovato le storie per i personaggi inventati. Ad ogni lezione Irv introduceva un elemento nuovo: un dialogo con un altro personaggio (poteva anche essere l’antagonista), la scrittura della scena d’apertura, la transizione  e così via… E la storia si è scritta da sé. In effetti se i personaggi son costruiti bene, se sono coerenti la storia se la scrivono da soli e noi sceneggiatori dobbiamo solo “lasciarli fare” e raccontare ciò che fanno. È stata un’esperienza “magica” e appassionante. Irv ci ha anche dato i primi rudimenti di formattazione, senza però porre l’enfasi sulla forma: l’importante, ci diceva, era scrivere una bella storia per il nostro personaggio.
Con Christine DeSmet l’esperienza è stata diversa per tre motivi: conoscevo a fondo il mio personaggio e la sua storia prima di cominciare, perché avevo deciso di adattare un mio romanzo, avevo scritto alcuni cortometraggi ed ero diventata più “competente” in scrittura visiva, e avevo una migliore conoscenza dei programmi di scrittura per il cinema. Quando mi sono iscritta al suo corso”Write Your First Draft Fast”  volevo qualcuno che mi seguisse passo passo nella stesura della sceneggiatura e che mi guidasse nelle scelte obbligate che uno sceneggiatore deve fare quando adatta una storia di narrativa al grande schermo. Ho trovato il corso giusto per me: Christine è una donna pragmatica, sempre incoraggiante, sempre disponibile, sempre pronta a rispondere ai tuoi dubbi, ma è anche una critica accurata e motivata. È stata capace di criticarmi senza mai scoraggiarmi, anzi facendomi sentire che la mia storia era importante e unica. Mi ha spinto  a riflettere a fondo sulle scelte che facevo, tenendo conto di ciò che il mercato richiede, ma sempre con un profondo rispetto di ciò che ero e sono come persona e come aspirante sceneggiatrice. Una dote non comune per un insegnante, un’ispirazione per me visto che insegno anche io.    

In Italia la principale scuola di cinema, la SNC, fino a pochi anni fa impartiva agli studenti di sceneggiatura testi di prosa e critica letteraria e gli insegnanti rivendicavano l’importanza di leggere soprattutto romanzi, come se il cinema fosse una pratica ancillare della letteratura. Nella didattica c’è ancora molta confusione e, come se non bastasse, nella classe intellettuale c’è ancora chi solleva il dubbio che un’arte creativa non si possa insegnare. Sei d’accordo con questa tesi tutta italiana?  

Ho un po’ di difficoltà a rispondere a questa domanda, visto che tutti i corsi di scrittura creativa, scrittura per l’infanzia e di sceneggiatura li ho fatti con insegnanti americani, dunque non parlerò di didattica italiana riguardante la sceneggiatura. I miei professori non mi hanno mai fatto un discorso sul talento o sul dilemma se si debba o si possa insegnare la creatività, ma mi hanno detto qualcosa di molto più pratico che in parole povere “suona” così: “Vuoi scrivere? Bene, allora scrivi. Visto che ti sei iscritta al mio corso è mia responsabilità darti gli strumenti per fare il tuo lavoro al meglio.” Dunque sembrerebbe proprio che secondo i professori americani, almeno quelli che ho conosciuto io, l’arte creativa non solo si possa insegnare ma si debba insegnare a chi vuole imparare.
Personalmente non so se si possa insegnare ad essere creativi, proprio perché non si può spiegare l’atto creativo. Non sappiamo definire la forza che spinge un pittore a dipingere, un musicista a suonare o uno scrittore a scrivere. Non sappiamo se l’atto creativo sia innato oppure sia il frutto di esperienze, istruzione ed educazione. Alle volte gli artisti son figli d’arte, alle volte no.
Mi è successo di essere in disaccordo con persone italiane riguardo al talento. Di cosa si tratta? Di qualche dote innata? E di che genere? Sono convinta, proprio perché sono un’insegnante, che se il talento c’è rappresenta forse l’ 1% o il 2% del prodotto finito. Il 98% o giù di lì è duro lavoro. Il talento e l’ispirazione sono forse l’idea iniziale e la “scintilla mentale” che ci porta a creare, anche se non sempre sappiamo da dove vengano. Senza autodisciplina, autocritica, apertura alle critiche esterne, voglia di cambiare e di crescere, tenacia e tanto lavoro “gratuito” (per gratuito intendo la coscienza che l’investimento in tempo ed energie non portino necessariamente al successo e alla remunerazione economica che spesso lo accompagna) il talento da solo riesce a produrre ben poco.  Credo che leggere sia importantissimo, e che se abbiamo doti innate per la scrittura si svilupperanno leggendo.  


Hai al tuo attivo la sceneggiatura del cortometraggio “Un amato funerale”, scritto a quattro mani con Luca Murri, e realizzato con la fotografia di Daniele Ciprì e gli attori Milena Vukotic, Giorgio Colangeli, Luca Murri e Carola Clavarino. Con la sceneggiatura del corto “Vorrei essere…” sempre scritta con Murri sei stata finalista sia al concorso “Il cortificio” che al concorso “Corto e Cultura”. Infine, il tuo copione originale de “La vacanza americana” è arrivato in finale al “Valpolicella Film Festival”. Dopo tutte queste esperienze, quali sono gli elementi che secondo te non dovrebbero mai mancare in un buon cortometraggio? Ci sono dei segreti e dei trucchi per scrivere una storia breve che funzioni?  

Scrivere “Un amato funerale” con Luca è stato un magnifico viaggio e gli sono grata di avermi scelto per scrivere con lui la sceneggiatura della storia che aveva in mente. Abbiamo un metodo di lavoro simile, e siamo entrambi concentrati e seriamente impegnati in ciò che crediamo. Il corto è diventato una realtà ed è stato presentato lo scorso 16 e 17 aprile prima a Catania poi a Nicosia con grande successo.
Come tutte le storie scritte per il cinema il cortometraggio deve raccontare la storia per immagini, avere un bel personaggio principale, un problema principale, un antagonista, un crescendo narrativo e deve risolvere il problema poco prima della fine. Insomma deve avere in piccolo tutte le qualità di un lungometraggio.  Ma visto che di corto si tratta e dunque di qualcosa di fruibile in poco tempo, un buon cortometraggio deve essere “focalizzato”. Gli intrecci secondari, come i personaggi secondari, se ci sono, possono solo essere appena abbozzati, altrimenti lo spettatore si confonde e non segue più l’intreccio principale. Più il corto è breve e più il lavoro diventa difficile. Mi sono divertita tantissimo a scrivere con Luca “Il fondo”, una commedia sui problemi del cinema italiano che dura poco più di 5 minuti. Il cortometraggio è un’ottima palestra per gli sceneggiatori e mi dispiace che non solo in Italia, ma anche in Europa, sia poco valorizzato, soprattutto per problemi di distribuzione al grande pubblico.

 Hai scritto una sceneggiatura direttamente in inglese intitolata “Chasing White Infinity” tratta dal tuo romanzo di avventura-fantascienza intitolato “La corsa e l’infinito”. Perché hai scelto la fantascienza, un genere poco praticato dalle donne?

Volevo scrivere un romanzo ambientato nel mondo delle corse di Formula 1. Mi affascinava la domanda del perché alcune persone rischiano la vita lanciandosi ad altissime velocità su dei circuiti chiusi e, più in generale, del perché noi uomini non ci contentiamo mai dei nostri traguardi raggiunti, ma abbiamo bisogno di darcene sempre di più ambiziosi o di più lontani. Ho la fortuna di avere un figlio appassionato di Formula 1 che lavora per una scuderia di Formula 1 come ingegnere aerodinamico. Parlando con lui mi è venuta l’idea del mio personaggio principale, Valen, un ex asso del volo decaduto e depresso che vuole  riscattarsi e cominciare una nuova vita. Non conoscevo però bene l’ambiente delle corse. La scelta di ambientare il romanzo su di un pianeta lontano in un’altra galassia, mi è sembrata la migliore per non scrivere imprecisioni. I razzi con i quali i miei personaggi corrono sono un bel miscuglio tra aerei effetto suolo e macchine di F1, non esistono nella nostra realtà. Mi son dunque potuta sbizzarrire e far far loro ciò che più mi piaceva, sotto la guida di mio figlio perché le competizioni  potessero risultare  abbastanza plausibili.
La fantascienza è un genere narrativo molto filosofico, secondo me. I grandi autori di fantascienza  si sono posti il problema della nostra condizione umana forse con più intensità di altri. Penso ad esempio a Philip Dick che si domanda ripetutamente cosa significhi essere cosciente e dunque cosa significhi essere uomo, oppure al grande Asimov che aveva una fiducia cieca nella nostra capacità di controllare le macchine e diciamo più in generale nella scienza. E non menziono qui gli altri innumerevoli grandi autori della letteratura di genere, grandi per le loro idee ma anche per il loro talento letterario. La fantascienza si interroga sul nostro futuro, sulle nostre più grandi paure ma anche le nostre più grandi conquiste e, in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia, fa bene fermarsi un attimo e riflettere alle immense opportunità offerte dal periodo storico in cui viviamo, ma anche ai suoi incredibili pericoli.  E’ vero che il genere spesso non piace  alle donne, benché il primo romanzo di fantascienza sia stato scritto proprio da una donna: Mary Shelley. Frankenstein non è forse una riflessione sui limiti della scienza, sull’etica dello scienziato, e sul dilemma esistenziale della morte e della rinascita? Una riflessione profonda sul senso della vita che si ripropone oggi in modo prepotente con i nuovi traguardi offerti dalle nanotecnologie e le ricerche di genetica. In Italia la fantascienza è un genere spesso considerato “minore”, ma è una problematica tutta italiana che non condivido. Spero comunque che sempre più donne comincino a leggere fantascienza e che non rimanga ancora per molto un genere considerato maschile.

Le società cinematografiche italiane sono restie a produrre film di genere e con grandi budget. Hai mai provato a proporre il tuo script in Italia?

Mi rendo conto (e non l’ho detto solo io, ma la mia insegnante e altri consulenti che hanno letto la mia sceneggiatura) di aver scritto la sceneggiatura di un film molto costoso. Non ho provato a proporre lo script in Italia, primo perché lo dovrei tradurre, e poi per problemi di budget che credo in Italia spaventerebbe qualsiasi produttore. La fantascienza, come ho detto prima, non è “ben vista” in Italia, non credo che i produttori leggerebbero il copione sapendo che si tratta di una corsa di velivoli inesistenti nella realtà. Spesso le scelte dei produttori italiani (e non solo) sono fatte per piacere al grande pubblico, e perché ci sia, giustamente, un ritorno economico per il grande investimento fatto. Il rischio con il mio copione sarebbe probabilmente troppo alto, ed io non sono abbastanza conosciuta.  Che ti devo dire? Scriverò altre sceneggiature pensando un po’ meglio al budget in futuro!

Stai promuovendo la sceneggiatura di Chasing White Infinity attraverso i nuovi mezzi digitali, siti e contest americani. Ci puoi parlare di questi service, delle opportunità che fornisce internet e dell’utilità che possono avere alcuni siti per chi cerca un riscontro al proprio spec script?

Ci sono diversi canali per arrivare ai produttori americani. La Rete senza dubbio offre delle nuove opportunità. Prima di contattare un qualsiasi produttore però, bisogna essere sicuri che la sceneggiatura che abbiamo scritto sia la miglior cosa che potevamo scrivere. Poi avere in mano una logline, una query e una sinossi di una pagina.
La logline è una frase, al massimo due, che sintetizza il film.  
La query è una breve lettera di presentazione di se stessi e del progetto che si intende inviare.
La sinossi è un riassunto di massimo una pagina della storia. Attenzione la sinossi, la query e la logline devono invogliare il produttore a leggere la sceneggiatura, non devono raccontare per filo e per segno tutta la storia. E devono essere brevi in quanto ai produttori americani arrivano progetti in continuazione e non hanno il tempo di leggere qualcosa di lungo.
Una volta che si hanno logline, query e synopsis i canali che ho usato, e che sto usando ancora, per contattare i produttori americani sono questi:         
- Il canale tradizionale: consiste nel fornirsi di una lista dei produttori americani e canadesi, ad esempio comprando il libro “Hollywood Screenwriting Directory” e spulciando con la santa pazienza la lista fornita di indirizzi, telefoni, mail e siti web. Io telefono sempre prima di inviare una query anche se sull’elenco c’è scritto che accettano “unsolicited material” (materiale non  richiesto) perché questa affermazione non è sempre vera. Con la telefonata chiedo anche il nome della persona alla quale indirizzare la query. 
- Il canale dei concorsi di sceneggiatura in USA e Canada: ce ne sono a bizzeffe, ci si può iscrivere a “Withoutabox” per essere aggiornati. Non ho usato ancora questo canale, è abbastanza costoso.
- Ho usato invece Virtualpitchfest e Inktip, sono due siti tramite i quali puoi inviare una query direttamente ai produttori che si sono iscritti a questi siti. Con Virtualpitchfest.com puoi comprare un pacchetto di 5 produttori e contattarli tramite il sito. Sono obbligati a rispondere entro 5 giorni lavorativi (e rispondono!). C’è una lunga lista di produttori affiliati e si tratta di controllarli uno ad uno e scegliere a chi inviare la query. Con 90 $ si può comprare un pacchetto di 10 produttori e si ha la consulenza gratuita per la query, ciò vuol dire che c’è un consulente che  corregge la query e dà istruzioni per migliorarla. Io ho comprato questo pacchetto e non mi sono trovata male. Se ci si iscrive a Inktip si riceve gratuitamente la newsletter con liste di 3 o 4 produttori alla settimana e di ciò che al momento vogliono (commedie romantiche, horror ecc…). Si può inviare la query tramite il sito di Inktip che garantisce di inviarla alle persone che vogliono leggerla all’interno della casa di produzione che ha richiesto le sceneggiature.
- Andare ai festival in Europa e in USA dove si fanno i “pitch” davanti ai produttori, cioè dove si può presentare in pochi minuti il proprio progetto. Su youtube si possono trovare delle registrazioni di pitch che sono veramente molto interessanti da guardare. Non ho usato questo canale, ma se decidessi di usarlo farei un breve corso su come presentarmi e come presentare il progetto. Non è facile attrarre l’interesse dei produttori in 3 o 4 minuti di tempo.  

Finora hai ottenuto qualche risposta da parte di società estere? Sei riuscita ad attirare l’interesse di qualche produttore americano?

Ho contattato 8 produttori tramite VirtualPitchFest e ho avuto 8 risposte negative. Alcuni mi son sembrati molto sbrigativi, uno mi ha riposto che stanno lavorando a un progetto simile al mio e che ci sarebbe conflitto, due mi hanno scritto che il progetto era troppo costoso per loro in questo momento.
Altri due produttori americani contattati tramite l’”Hollywood Screenwriting Directory” hanno voluto le prime 20 pagine della sceneggiatura e mi hanno risposto anche loro che il progetto era troppo caro.
 







Quale sono i film che più ti hanno influenzato nella tua attività di scrittrice?

A influenzare la mia attività di scrittrice di narrativa e teatro sono state le mie letture di romanzi e di opere di teatro. Ho passato l’adolescenza a leggere di tutto, e ancora sono un’avida lettrice. Sono sempre andata al cinema e, nei miei otto anni a New York, non solo andavo al cinema spesso ma affittavo una quantità incredibile di film. Il videonoleggio sotto casa a Manhattan affittava il martedì e il mercoledì tre film al prezzo di due! Ne ho approfittato anche se alle volte dopo tre film in 24 ore avevo un po’ di confusione in testa. Il cinema è parte della cultura americana quotidiana, è vero che è stato inventato dai fratelli Lumière, ma gli americani se ne sono appropriati subito, forse proprio perché il cinema ti fa sognare, e il sogno americano è ancora una realtà. Quali film mi hanno influenzato? Tantissimi: da “Via col vento” agli “Indiana Jones” passando per René Clément, Charlie Chaplin, Buster Keaton, Woody Allen, Nancy Mayers, Nora Ephron e molti molti altri! Ad un certo punto ho pensato che forse mi sarebbe risultato facile scrivere sceneggiature e non mi sono sbagliata, ma non avrei mai potuto scrivere un copione se non fossi stata prima una grande amante della letteratura e del teatro, se non avessi passato anni e anni immersa nella lettura di romanzi di tutti i tipi, e serate intere a guardare film. 


Cosa pensi del cinema italiano, delle sue potenzialità commerciali e delle sue attuali tendenze espressive? 

Il cinema italiano spesso è scritto e girato per il mercato italiano e non riesce a varcare i confini del nostro Paese. Ma questo problema esisteva anche molti anni fa: i film di Totò, che io adoro, ad esempio, sono intraducibili e possono dilettare solo noi italiani. Alcuni grossi successi di botteghino del 2013 non si possono tradurre e la loro comicità è prettamente italiana, dunque non comprensibile a un inglese, un francese, un finlandese o un americano. Abbiamo però prodotto degli ottimi film, naturalmente  penso ai nostri grandi registi come Fellini, Visconti, Antonioni ecc… fino ad arrivare a Benigni e al nostro ultimo premio oscar. L’anno scorso ho visto dei film  scritti benissimo, coerenti e ben diretti, come “Tutti i santi giorni” e “Il capitale umano”, ma anche il delizioso “Scialla” e il divertente “Amiche da morire”. Benché diversissimi tra loro sono film che potrebbero avere successo anche all’estero. Ciò che un po’ mi rammarica in Italia è l’idea che una commedia non possa essere un “grande film”. Benigni ha dimostrato il contrario, ma diciamo che è stato l’eccezione che conferma la regola.





[1] Questa intervista inaugura il ciclo di interviste TE LA DO IO L’AMERICA, testimonianze rese da italiani che si cimentano col mercato estero, professionisti e non, producers, attori, scrittori e registi. 

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