A
Villejuif, estrema periferia di Parigi, la polizia trova il corpo di una
passeggiatrice orrendamente mutilato. Solo un mostro può aver commesso simile
scempio. Nello stesso isolato vive il piccolo e grasso signor Hire. Tipo
appartato, preciso come un automa, che
ha come unici svaghi il gioco del bowling e la frequentazione di una casa di
appuntamenti. Il ritratto ideale dell’assassino. La goffaggine lo rende
vittima dei lazzi dei bambini. La sua stanza è un blocco solido e
uniforme di silenzio. Chi se non lui, “mostruoso” nell’aspetto e nel
comportamento, può aver massacrato la prostituta dopo averla rapinata? Se ne convince la portinaia, che lo reputa un individuo pericoloso
per le sue solitarie stranezze. Se ne persuade la polizia, che lo pedina e
resta colpita dalle sue piccole manie che sono così lontane dalla normalità.
Come
quella che ogni sera segue come un rigido cerimoniale. Hire spia al di là del
cortile Alice, una giovane dai capelli ramati, morbida e sensuale. Fissa ossessivamente quella
polpa ricca e piena di linfa. Sempre alla solita ora, sempre dalla sua finestra. Ormai
è un rito per lui. La giovane si accorge di essere osservata, ma non
si irrita, anzi, si spoglia civettuola e vaga nuda per la casa, lasciando che
il suo corpo palpitante riempia la vuota esistenza di un uomo grottesco e
commovente.
Mentre
le indagini della polizia brancolano nel buio, Hire pedina Alice come un’ombra
e la spia persino mentre fa l’amore col fidanzato, Emile. Alice sa che lo
sguardo del vicino di casa è puntato su di lei, eppure non si sottrae al gioco di
seduzione, permettendo che gli occhi di Hire violino la sua intimità.
Quando Alice bussa alla sua porta, il guardone per la
prima volta acquista un lato umano e compassionevole. La ragazza è venuta per parlargli, e lui
davanti a quel corpo cerca di resistere alla naturale forza di attrazione. Alice non ne può più di portarsi tutto dentro e di tacere sul delitto della
prostituta. Gli occhi di Hire sembrano volerla giudicare. Lei sa
bene che il dirimpettaio conosce la verità e si domanda perché non l’abbia
detta alla polizia. In effetti la notte del crimine Hire ha visto Emile, il
fidanzato della ragazza, entrare nell’appartamento di Alice sporco di
sangue, nascondere sotto il materasso la borsetta rubata alla prostituta e
scaricare la tensione con un amplesso brutale e selvaggio. I due hanno fatto sesso sotto gli occhi impassibili del vicino, quella maledetta sera. Ma lui, cosa davvero strana, non ha denunciato l’assassino
per evitare di coinvolgere Alice come sua complice. Hire promette a Alice che
continuerà a proteggerla, sperando nella sua riconoscenza. La ragazza non dovrà temere.
Chi ha
più da perdere è Hire, però. La polizia brancola nel buio e cerca di mettere sotto pressione l'unico sospetto. Hire è interrogato duramente. La faccia del cane bastonato che si meraviglia della malvagità
umana, risponde a monosillabi alla sfilza di domande. Ogni insignificante
elemento della sua vita gli viene rimproverato e va ad aggiungersi ai tasselli
di una tesi precostituita: le origini russe ed ebraiche di Hire, la voce che il padre fosse un usuraio, il fatto che Hire abbia cambiato
tanti lavori, l’insufficienza cardiaca per cui l’hanno riformato, una denuncia
per oscenità che il poveraccio ha preso al posto di un’altra persona. Tutto concorre
a farne il mostro. Compresa la mancanza di un alibi per la sera del delitto.
Hire spiega al commissario di sapere chi ha commesso l’assassinio, ma di non
poterlo dire. Lo farà al tempo debito. Già, ma quando?
Tutto
precipita e lui deve fare presto. Con un candore disarmante dichiara ad Alice
la sua devozione per lei e la invita a seguirlo in Svizzera, nel suo chalet nei
dintorni di Losanna. Non sarà granché, ma ha messo da parte ottantamila franchi
a forza di risparmi. La base di un futuro da costruire con la ragazza che ama.
Alice ride della sua ingenuità e poi dice che si sente sola e vorrebbe
abbandonare Emile. Così si lascia convincere a partire. I due si danno
appuntamento il giorno dopo alla stazione: prenderanno il treno per Losanna e,
una volta lontani, informeranno la polizia della colpevolezza di Emile.
Con la
consueta meticolosità il signor Hire si prepara a lasciare Parigi, la sua città. E’ convinto
di essersi fidanzato con Alice. Una situazione per lui nuova ed esaltante che
lo inebria! Compra i biglietti della partenza e attende impaziente, mentre la polizia lo
bracca e gli abitanti di Villejuif lo accusano dell’assassinio...
Ma Alice non si fa
trovare al fatidico appuntamento e Hire pensa che forse qualcuno o qualcosa
l’abbiano trattenuta. Ancora non immagina quello che è successo. Ignora che
Alice ha nascosto nel suo appartamento la borsetta della prostituta per farlo
incriminare. ignora di essere stato scelto come capro espiatorio. Hire
torna verso casa e nota l’assembramento intorno alla sua palazzina. Una folla piena
di rabbia grida al mostro e si avventa contro di lui. La gente lo prende a
pugni e lo deride. I colpi sulla sua carne flaccida producono un suono strano.
Hire sfugge al linciaggio e si rifugia sul tetto, dove scivola e resta
attaccato alla grondaia. Ormai la situazione è chiara anche per lui, nera e
disperata. Ha capito che Alice non lo ama e fin dall’inizio si è lasciata corteggiare per incastrarlo. E ci
è riuscita.
Sotto
al palazzo, la polizia attende per arrestarlo. Sul marciapiede si forma una
colonna di persone che fissano in alto Hire attaccato disperatamente al
cornicione come un funambolo. Tra la folla di curiosi ci sono Emile, che si
sloga il collo per guardare in aria, ed una gelida e indifferente
Alice, che ha fatto di tutto per discolpare il fidanzato. Ma nessuno avrà la
soddisfazione di vedere Hire in manette, perché quest’uomo, al tempo stesso
buffo e tragico, muore di infarto.
NOVITA' DELL'OPERA
Quando
in Francia esce Il fidanzamento del
signor Hire (1933) provoca un vero terremoto
nell’estetica e nella meccanica del genere giallo. Il patetico ometto che fa da vittima sacrificale per
colpe altrui scuote dalle fondamenta la letteratura poliziesca. Prima di allora
mai un romanzo ha reso centrale un individuo malato di passione e mai un'opera si è spinta a livelli così alti e ha assunto un tono così funesto e crudele. Mai un giallista è riuscito a trasformare i
lettori in morbosi voyeurs, fermi dal
loro freddo punto di osservazione a spiare la vita che si anima al di là di una
finestra illuminata.
SUCCESSO MONDIALE DI SIMENON
Oggi la
tiratura complessiva delle opere di Simenon supera i settecento milioni di
copie. Il suo successo commerciale non fa arricciare il naso a nessuno. Simenon
è l’unico caso al mondo di romanziere che opera dentro gli steccati di un
genere e riscuote consensi trasversali. Miller, Pauhlan, Faulkner, Jung, Cocteau,
Gide, Benjamin e Céline riconoscono in lui un maestro insuperabile e lo pongono
alla vetta della letteratura francese.
MAIGRET
Qualche
anno prima l’autore de Il fidanzamento
del signor Hire ha già prodotto scosse telluriche nel panorama irrigidito e
asfittico del giallo. La serie letteraria che ha come protagonista il
commissario Maigret, a partire da Pietro
il lettone (1929), risulta un compromesso tra i romanzi d’appendice e le
opere impegnative, ma fornisce a Simenon il pretesto per distaccarsi dal
modello del feuilleton.
Il cane giallo (1931) e Il mistero del crocevia (1931), che
vedono Maigret indagare sul
ferimento di un commerciante di vini e sulla morte di un ricettatore di
diamanti, diventano subito popolari e suscitano l’interesse del cinema. Discostandosi dagli schemi classici dell’inchiesta, compiono una paziente
ricostruzione della verità. Ed è questo lavoro di scavo che permette al
commissario Maigret di arrivare all’antefatto che ha causato il crimine. Simenon
rompe il prevedibile protocollo della scuola anglosassone, ritraendo vicende
profondamente umane e descrivendo la piccolo-borghesia condannata a vivere ai
margini della società.
LE OPERE DA NON PERDERE
Lo scrittore belga raggiunge la piena maturità
espressiva nei romanzi non seriali, quelli estranei al ciclo di Maigret. Qui entra con sicurezza sbalorditiva nella testa dei suoi antieroi,
sprigiona atmosfere cariche di angoscia e malessere, arrivando a incidere in
modo dirompente nella storia del poliziesco.
Ne Le finestre di fronte (1933), racconto ambientato nei primi anni del regime di Stalin, narra lo spaesamento del nuovo console turco a Bartum, cittadina sul
Mar Nero. In uno scenario quasi kafkiano il protagonista capisce di essere controllato quotidianamente da qualcuno e si
innamora proprio della donna che lo spia.
Da ricordare inoltre: L’uomo
che guardava passare i treni (1938), l’avventura di un anonimo signore che
passa dalla mania di guardare i treni che corrono nella notte alla drammatica fuga su uno di quei treni, braccato dalla polizia
come omicida; Pioggia nera (1939), la
storia di un adolescente che è persuaso di essere amico di un bambino con cui
non ha mai parlato e sa dove il padre del bimbo si nasconde per sfuggire
alla polizia, ma nasconde il segreto all’astiosa zia che vive con lui; Il viaggiatore del giorno dei morti
(1941), il romanzo di formazione di Gilles, orfano che smette di girovagare
quando diventa erede del favoloso patrimonio dello zio e tenta di inserirsi
nella gretta provincia, salvo poi innamorarsi di una donna sospettata di avere
avvelenato lo zio; La neve era sporca
(1951), l’iniziazione alla vita di un ragazzo freddo, insolente e scostante che
si dà come missione quella di uccidere qualcuno senza ragione, per saltare il
fosso e non avere niente in comune con lo squallore che lo circonda.
LO STILE INCONFONDIBILE
Dal
punto di vista stilistico la narrativa di Simenon appare di grande nitidezza e
pulizia formale. Il magro vocabolario dei suoi romanzi non concede posto a
finezze letterarie e descrizioni favolistiche. Eppure quella prosa tanto
asciutta da sembrare sciatta ha una forza brutale, nella sua cruda trasparenza,
e riesce a farsi emanazione diretta delle azioni e dei pensieri dei personaggi.
La scrittura delinea dialoghi secchi e taglienti, ricrea atmosfere dense e
avviluppanti in poche righe ed ha una capacità introspettiva sorprendente.
L’esposizione è avara di notizie sui protagonisti, di cui concede un’ottica
parziale, segue gli eventi aderendovi totalmente, distribuisce in una lenta e
avvolgente progressione le informazioni fino a rivelarci, quando siamo già
dentro la storia, chi sono davvero le creature con cui abbiamo familiarizzato.
Le frasi sono coincise, come se fossero ridotte all’osso e scolpite nella pietra
per cogliere l’essenza del “popolo nudo”, cioè l’umanità che viene alla luce
dietro le sue maschere.
Georges
Simenon avverte che la visione monolitica e fiduciosa del positivismo si sta
sgretolando. Non crede ai dogmi di un’Agatha Christie, né all’infallibilità dei
metodi scientifici. Offre un’immagine inedita della realtà, enigmatica e
sfuggente, dominata da forze imponderabili che rischiano sempre di travolgerci.
E d’altronde ha sperimentato lui stesso l’irragionevolezza dei sentimenti e
delle pulsioni.
SIAMO TUTTI ASSASSINI
Con Simenon il
racconto giallo abbandona l’armamentario del detective-stregone e si
“borghesizza”: l'autore belga rappresenta uomini spersi nella metropoli o nella provincia, le
cui anime vengono passate al setaccio, vivisezionate, analizzate sotto una
lente d’ingrandimento. L’attenzione non è centrata sull’intreccio, sulla costruzione
della detection. Invece appare fondamentale gettare luce sulla motivazione e psicologia dell’assassino.
L’enigma appare secondario.
Perché
ha ucciso? Cosa è successo nell’esistenza di una persona che a un certo punto
l’ha portato a oltrepassare una soglia da cui non si torna indietro? La
risposta è talmente sconvolgente da far perdere il senno ai lettori.
L’assassino della porta accanto è un essere normale, esattamente come noi, che un bel giorno rimane avviluppato in qualcosa di ineludibile come una mosca
in una ragnatela: questo è il colpo di scena del nuovo corso del giallo. I
mostri non esistono: abitano dentro di noi. Vittima di un ingranaggio che lo
stritola, un uomo comune, come tanti, routiniero e amante del quieto vivere,
spezza il proprio sonnambulismo, entra in una spirale perversa e si ritrova con
un coltello o una pistola in mano. E’ una figura al limite tra l’abiezione e
una paradossale innocenza, su cui lo sguardo introspettivo di Simenon indulge
amorevole e forse carico di invidia.
IL CAPOLAVORO
Lettera al mio giudice (1951), lunga confessione di un
assassino che durante il suo processo scrive al proprio giudice nel tentativo di
essere capito e di spiegare le proprie pulsioni, ci porta per mano nella vita
ordinata e “perbene” di Charles Alavoine, medico di campagna coscienzioso e
senza ombre, che per anni ha fatto tutto quello che gli altri si attendevano da
lui. Charles non ha mai protestato, non si è reso conto neppure che gli stavano
imponendo qualcosa. La madre iperprotettiva gli ha consigliato di sposarsi, e
Charles ha trovato in Armande, donna generosa e leale, la moglie perfetta. Ma
quando incontra in un bar la minuta e pallida Martine, arrampicata sui suoi
tacchi alti, ragazza da copertina che vive solo per farsi notare, complice
l’euforia dell’alcool Charles ci finisce a letto e fa l’amore con una foga che
lo sgomenta. Da allora non riesce più a concepire la vita senza Martine e
decide di mettere a rischio il suo matrimonio e la sua carriera pur di tenere
vicino a sè quella ragazza facile e leggera, prima come domestica e poi come
assistente nello studio medico. Charles comprende che la sua esistenza monotona
e priva di passione lo rendeva – prima di Martine – una sorta di fantasma, ma
al tempo stesso intuisce che la sua amante lo porterà all’autodistruzione. Non
è in grado di gestire il delirio di amore e il desiderio di possesso, di
controllare i suoi attacchi di gelosia e la doppia vita che si sta
faticosamente costruendo, di marito rispettabile e amante segreto, così come gli risulta impossibile ribellarsi al
vecchio sistema di valori a cui ha aderito. Prende a picchiare Martine perché
non perdona alla donna il suo passato con altri uomini. Sente che la cattiva Martine,
quella disinibita e provocante, si sta dileguando, ma tormentato dai dubbi si fa
raccontare le storie sordide che lei ha avuto, fin nei particolari più umilianti.
L’ansia rigenerante non dà requie a Charles e lo trascina a liberare Martine
dalle sue colpe.
«Sono
ricomparsi i fantasmi più orribili e immondi; era troppo tardi perché mi
potessi difendere, e loro lo sapevano. Martine si era addormentata. A meno che
facesse finta di dormire, per tranquillizzarmi. La mia mano è risalita
lentamente lungo il suo fianco carezzandole la pelle morbida, così morbida, ha
seguito la curva della vita e ha indugiato un poco sulla soda morbidezza di un
seno. Visioni, sempre visioni di altre mani, di altre carezze… Sapevo già che
era troppo tardi. Erano ricomparsi tutti i fantasmi, era ricomparsa l’altra
Martine, quella che era stata insozzata da loro, da tutti loro, quella che si
era fatta insozzare con una sorta di frenesia… Era giusto che la mia Martine,
quella che il mattino stesso rideva ancora con tanta innocenza insieme alla
domestica, dovesse soffrirne per sempre?»
Lo
strangolamento di Martine, a cui la vittima pare abbandonarsi con voluttà, e la
dannazione di Charles rappresentano l’unica via di uscita a uno stato d’animo
intollerabile, l’atto definitivo di sollievo e di pietà concepito da chi ha amato
troppo.
Un po' come aveva fatto Simenon con la sua vita.
Artigiano della penna capace di scrivere di getto in una sola giornata ben ottanta pagine, Simenon pubblica a ritmo torrenziale 193 romanzi e un numero imprecisato di opere sotto pseudonimo.
La tensione creativa lo consuma facendogli perdere peso e procurandogli un forte stress, consumato nello sforzo di entrare nella pelle di un personaggio, vivere per un periodo circoscritto con la sua creatura e poi rientrare in sé. Spinto dall’irrequietudine, lo scrittore è sempre in movimento. Cambia trentatre residenze tra Belgio, Francia, Canada, Stati Uniti e Svizzera. Si sposa due volte e ha numerose relazioni. Animato da una sessualità animalesca, frequenta assiduamente prostitute. Ma ogni volta segrete impellenze lo guidano a fare scelte irresolute, a scansare la depressione, a innamorarsi come un bambino, a battere più in fretta, sempre più in fretta, sulla macchina da scrivere, a dismettere i suoi affetti, a spostarsi di continuo, a conoscere nuove donne, a cercare disperatamente una ragione di vita vincendo la noia.
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